Sant’ Anselmo d’Aosta Vescovo e dottore della Chiesa
21 aprile – Memoria Facoltativa
Aosta, 1033 – Canterbury, Inghilterra, 21 aprile 1109
Nasce verso il 1033 ad Aosta da madre piemontese, entrambi nobili e ricchi. Travagliato il rapporto con la famiglia che lo invia da un parente per l’educazione. Sarà solo con i benedettini d’Aosta che Anselmo trova il suo posto: a quindici anni sente il desiderio di farsi monaco. Contrastato dai genitori decide di andarsene: dopo tre anni tra la Borgogna e la Francia centrale, va ad Avranches, in Normandia, dove si trova l’abbazia del Bec con la scuola, fondata nel 1034. Qui conosce il priore Lanfranco di Pavia che ne cura il percorso di studio. Nel 1060 Anselmo entra nel seminario benedettino del Bec, di cui diventerà priore. Qui avvierà la sua attività di ricerca teologica che lo porterà ad essere annoverato tra i maggiori teologi dell’Occidente. Nel 176 pubblica il «Monologion». Nel 1093 diventa arcivescovo di Canterbury. A causa di dissapori con il potere politico è costretto all’esilio a Roma due volte. Muore a Canterbury nel 1109.
Etimologia: Anselmo = protetto da Dio, Dio gli è elmo, dal tedesco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Sant’Anselmo, vescovo e dottore della Chiesa, che, originario di Aosta, fu dapprima monaco nel monastero di Bec nella Normandia in Francia; divenutone abate, insegnò ai suoi confratelli a progredire sulla via della perfezione e a cercare Dio con l’intelletto della fede; promosso poi all’insigne sede di Canterbury in Inghilterra, lottò strenuamente per la libertà della Chiesa, sopportando per questo sofferenze e l’esilio.
Il celeberrimo Sant’Anselmo è una tra le più grandi glorie del Piemonte e della Valle d’Aosta, essendo nato verso il 1033 ad Aosta da madre piemontese. I suoi genitori erano nobili e ricchi: sua madre Ermemberga era una perfetta madre di famiglia, mentre suo padre Gandolfo viveva immerso nei suoi impegni secolari. Anselmo sin dalla sua infanzia sognò di poter raggiungere Dio e nella sua semplicità ipotizzava che risiedesse sulla sommità delle montagne. Già avido di sapere, fu affidato ad un parente per un’accurata educazione, ma non essendo stato compreso dal brutale maestro cadde in una terribile crisi d’ipocondria. Per guarirlo occorsero tutto il tatto e l’amorevolezza della mamma, la quale finalmente lo affidò poi ai benedettini d’Aosta. All’età di quindici anni Anselmo iniziò a sentire il desiderio di farsi monaco, ma il padre non ne volle sapere preferendo farlo erede dei suoi averi. Le attrattive del mondo e le passioni prevalsero allora sul giovane, specialmente dopo la morte della madre. Il padre, che morì poi monaco, lo prese in tale avversione che Anselmo decise di abbandonare la famiglia e la patria in compagnia di un servo.
Dopo tre anni trascorsi tra la Borgogna e la Francia centrale, Anselmo si recò ad Avranches, in Normandia, ove venne a conoscenza dell’abbazia del Bec e della sua scuola, fondata nel 1034. Vi si recò per conoscere il priore, Lanfranco di Pavia, e restare presso di lui, come tanti altri chierici attratti dalla fama del suo sapere. I progressi nello studio furono tanto sorprendenti che lo stesso Lanfranco prese a prediligerlo ed addirittura a farsi coadiuvare da lui nell’insegnamento. In tale contesto Anselmo sentì rinascere in sé il desiderio di vestire l’abito monacale. Avrebbe però altri posti dove poter sfoggiare la sua sapienza senza dover competere con il maestro Lanfranco, ma non trovando valide alternative nel 1060 entrò nel seminario benedettino del Bec. Dopo soli tre anni di regolare osservanza meritò di succedere a Lanfranco nella carica di priore e di direttore della scuola, visto che quest’ultimo era stato destinato a governare l’abbazia di Saint’Etienne-de-Caen. Nonostante il moltiplicarsi delle responsabilità, Anselmo non trascurò di dedicarsi sempre più a Dio ed allo studio, preparandosi così a risolvere le più oscure questioni rimaste sino ad allora insolute. Non bastandogli le ore diurne per approfondire le Scritture ed i Padri della Chiesa, egli soleva trascorrere parte della notte in preghiera e correggendo manoscritti. Ci si può fare un’idea del suo insegnamento leggendo gli opuscoli ed i dialoghi da lui lasciati, alcuni dei quali sono veri e propri piccoli capolavori pedagogici e dogmatici.
Sant’Anselmo fu indubbiamente un grande speculativo, ma anche un grande direttore di anime. La fama del suo monastero si sparse ovunque ed attirò un’élite avida di scienza e di perfezione religiosa. Egli se ne occupava in prima persona con cura speciale. Molte delle sue 447 lettere mostrano l’arte che possedeva per guadagnare i cuori, adattandosi all’età di ciascuno e puntando sull’affabilità dei modi. Alla morte dell’abate Herluin, il 26 agosto 1078 i confratelli all’unanimità designarono Anselmo a succedergli. L’acutezza dell’intelligenza, la straordinaria dolcezza di carattere e la santità della vita gli meritarono un immenso ascendente tanto nel monastero quanto fuori. Intraprese relazioni con il maestro Lanfranco, nominato arcivescovo di Canterbury nel 1070, e collaborò all’organizzazione di alcuni monasteri inglesi: ciò gli permise inoltre di farsi conoscere dalla nobiltà del paese ed apprezzare dalla corte di Londra.
Nel 1076 Anselmo pubblicò il “Monologion” per soddisfare il desiderio dei monaci di meditare sull’essenza divina. Questa sua prima opera si rivelò un capolavoro per la densità e lucidità di pensiero circa l’esistenza di Dio, i suoi attributi e la Trinità. Ad essa seguì il “Proslogion”, più celebre della precedente per l’assai discusso argomento che escogitò a dimostrazione dell’esistenza dell’Essere supremo, in sostituzione dei lunghi e noiosi ragionamenti che aveva esposto nel “Monologion”. “Dio è l’essere di cui non si può pensare il maggiore; il concetto di tale essere è nella nostra mente, ma tale essere deve esistere anche nella realtà, fuori della nostra mente, perché, se esistesse solo nella mente, se ne potrebbe pensare un altro maggiore, uno, cioè, che esistesse non solo nella mente, ma anche nella realtà fuori di essa”.
La fama di Anselmo si diffuse ancora di più in tutta Europa. Era talmente venerato e amato in Inghilterra che il 6 marzo 1093, in seguito alle pressioni dei vescovi, dei signori e di tutto il popolo, fu eletto dal re Guglielmo II il Rosso arcivescovo di Canterbury, sede ormai vacante dalla morte di Lanfranco avvenuta nel 1089. La sua resistenza fu tenace ma inutile ed in riferimento alle difficoltà d’intesa tra il re e il primate affermò con i vescovi ed i nobili che l’accompagnavano: “Voi volete soggiogare insieme un toro non domo e una povera pecora. Il toro trascinerà la pecora tra i rovi e la farà a pezzi senza che sia servita a nulla. La vostra gioia si muterà in tristezza. Vedrete la chiesa di Canterbury ricadere nella vedovanza vivente il suo pastore. Nessuno di voi oserà resistere dopo di me e il re vi calpesterà a piacimento”.
La situazione della Chiesa inglese era effettivamente molto triste in quel periodo a causa della simonia, della decadenza dei costumi e della violazione della libertà religiosa da parte del re. Sant’Anselmo tentò di rimediare a tutto ciò, nella scia della riforma adottata da San Gregorio VII. Non destò quindi meraviglia se, nel 1095, scoppiò tra l’autorità secolare e quella religiosa un aspro conflitto circa il riconoscimento del pontefice Urbano II. Nulla convinse l’arcivescovo a recedere dal suo proposito e, dopo molte difficoltà, nel 1097 poté recarsi a Roma per consultare il papa stesso. Questi lo ricevette con grandi manifestazioni di stima e nel 1098 lo invitò al Concilio di Bari, convocato per ricondurre all’unità della Chiesa gli aderenti allo scisma consumatosi nel 1054 tra Oriente ed Occidente. Nelle questioni discusse Sant’Anselmo apparve come il teologo dei latini, confutando vittoriosamente le obiezioni degli avversari contro la processione dello Spirito Santo da parte di entrambe la altre persone della Santissima Trinità. Nel 1099 prese ancora parte al sinodo di Roma, in cui furono ribaditi i decreti contro la simonia, il concubinato dei chierici e la reinvestitura laica. Partì poi per Lione, ove fu però costretto a trattenersi poiché il re non lo autorizzava a tornare alla sua sede. In Italia aveva completato il suo grande trattato sui “Motivi dell’Incarnazione”, mentre a Lione ne ultimò un altro “Sulla nascita verginale di Cristo e il peccato originale”.
Nel 1110 Enrico Beauclerc successe al fratello Guglielmo sul trono inglese e, desiderando avere l’arcivescovo di Canterbury tra i suoi sostenitori, lo invitò a ritornare. Il nuovo sovrano non aveva però alcuna intenzione di rinunciare a spadroneggiare sulla Chiesa, motivo per cui nel 1103 Anselmo, inflessibile nella difesa dei suoi diritti, dovette una seconda volta andare in esilio a Roma. Dopo lunghe trattative con il nuovo papa Pasquale II, il sovrano rinunciò infine all’investitura dei feudi ecclesiastici, accontentandosi solo dell’omaggio. Nel 1106 il primate poté così ritornare nella sua sede e dedicare all’intenso lavoro pastorale gli ultimi anni della sua vita. Non potendo più camminare, si faceva quotidianamente trasportare in chiesa per assistere alla Messa. Sul letto di morte provò solo il rimpianto di non aver avuto tempo sufficiente per poter chiarire il problema dell’origine dell’anima. Sant’Anselmo morì il 21 aprile 1109 a Canterbury e fu sepolto nella celebre cattedrale. Il pontefice Alessandro III nel 1163 concesse all’arcivescovo Tommaso Becket, di procedere all’“elevazione” del corpo del suo predecessore, atto che a quel tempo corrispondeva a tutti gli effetti ad un’odierna canonizzazione. Sant’Anselmo d’Aosta fu infine annoverato tra i Dottori della Chiesa da Clemente XI l’8 febbraio 1720. Il Martyrologium ROmanum ed il calendario liturgico della Chiesa universale commemorano il santo nell’anniversario della nascita al cielo. Aosta, sua città natale, ha dedicato la strada principale del centro storico alla memoria del suo figlio più celebre.